Dopo 42 anni vissuti in Congo credevo di essere più o meno “vaccinato” di fronte alle sofferenze umane e ai drammi che hanno colpito queste popolazioni del Kivu, all’estremo Est del paese sulla frontiera del Rwanda, Uganda e Burundi…
No, è impossibile abituarsi alle tragedie che da anni colpiscono questa regione martoriata del Congo dove continuano ad essere perpetrati i crimini più atroci che superano i limiti della crudeltà umana.
Il caso di Imani, un ragazzino di 12 anni arrivato alcuni giorni fa nel nostro centro di assistenza “Tupendane”, sostenuto economicamente da Fonte di Speranza, ha di colpo riacutizzato quel sentimento di indignazione, rivolta e di dolorosa impotenza che da anni cova nel mio animo, e certamente, anche nell’animo di tutti i missionari che lavorano come me qui in Congo.
Imani, occhi spalancati dal terrore, è cieco. Il suo corpo scheletrito è a metà paralizzato. Dentro, porta il terribile trauma della tragedia vissuta. Una vita spezzata dalla barbarie e dalla crudeltà umana.
Quando è arrivato da noi sul dorso della zia, ho pensato subito di inviarlo nel centro diocesano di cura e riabilitazione “Heri Kwetu”. L’hanno rimandato indietro consigliando un consulto nel centro neuro-psichiatrico Sozame, tenuto dai Fratelli della Carità.
È lì che, senza tardare, l’ho accompagnato. Mentre attendavamo la visita medica, la zia mi ha raccontato il dramma sconvolgente vissuto da Imani e dalla sua famiglia.
Sono ormai 18 anni che la regione del Kivu è infestata dalla presenza nefasta di soldati e miliziani rwandesi che continuano ad attaccare villaggi e centri abitati martoriando la popolazione e seminando morte, terrore e desolazione soprattutto nelle zone di campagna e di foresta lontane dalle città.
Diversi mesi fa anche Kisungi, il villaggio situato in piena foresta dove abitava Imani e i suoi genitori è stato attaccato da un gruppo di questi miliziani. Il babbo è stato preso e fatto a pezzi a colpi di machete sotto gli occhi del ragazzino che gridava terrorizzato. Per farlo tacere, lo hanno preso e buttato a testa in giù nella buca di un gabinetto scavata a fianco della capanna. La mamma, incinta di 8 mesi, è stata malmenata, brutalizzata e lasciata mezza morta. Perderà poco dopo il suo bambino.
Finito l’incubo, arrivano alcuni abitanti dei villaggi vicini. La mamma e il ragazzino, trovati ancora vivi, sono soccorsi e fatti arrivare a Bukavu coprendo un percorso di più di 200 km. Sono accolti nell’ospedale di Panzi dove funziona da anni uno speciale centro di cura per le donne e ragazze, vittime di violenze.
Dopo alcuni mesi di cura, madre e figlio sono dimessi dall’ospedale. Trovando difficoltà a vivere a Bukavu, si trasferiscono nella cittadina di Walungu a quaranta chilometri dalla città.
È lì che alcuni mesi fa Imani, colto da una violenta crisi epilettica, ha perso la vista ed è diventato emiplegico. Nel frattempo, anche le condizioni di salute della mamma hanno subito un notevole deterioramento. Viene di nuovo portata all’ospedale di Panzi e ricoverata. A pagamento, stavolta.
Imani, in quello stato pietoso, è preso in carico dalla zia, sorella maggiore della mamma. Povera com’è, non sapendo come cavarsela, è venuta da noi con la certezza di essere aiutata.
Dopo la visita e l’elettroencefalogramma, il medico ha suggerito il trasferimento di Imani all’ospedale generale di Bukavu consigliando di farlo visitare dal neurochirurgo. Spera che sia in grado di poter intervenire per ottenere una “decompressione” del midollo spinale a livello delle vertebre cervicali lesionate e un conseguente miglioramento della situazione di Imani.
La drammatica vicenda di Imani mi stimola, anzi mi obbliga moralmente, ad esprimere queste riflessioni che rivelano, e allo stesso tempo denunciano, la tragica realtà di ciò che sta succedendo nell’Est del Congo.
Sono ormai 18 anni che crimini di questo genere vengono perpetrati ogni giorno e su larga scala in questa regione del Kivu. I rapporti delle principali agenzie e organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti umani pubblicano bilanci ufficiali terrificanti: dai 5 agli 8 milioni di morti e 2 milioni e 200.000 profughi e sfollati di guerra. Un vero e proprio olocausto. Cinque, sei volte superiore al “genocidio rwandese” che anni fa ha suscitato tanta indignazione.
Per “l’olocausto congolese” invece nessuna indignazione. Solo silenzio e indifferenza.
Forse lo si considera solo come un semplice e trascurabile “effetto collaterale” di quel perfido “progetto di balcanizzazione del Congo” concepito e portato avanti ad ogni costo dai potenti di questo mondo per mettere le mani sul Kivu, il grande Eldorado dove sono concentrate immense ricchezze: oro, cassiterite, diamanti, niobo, coltan… e adesso anche il petrolio.
Su questa regione martire dell’Est del Congo da anni sono in effetti scatenate le forze predatrici del capitalismo internazionale che, tramite gli interventi armati del regime rwandese sul territorio congolese e l’azione destabilizzatrice delle successive “ribellioni” da esso organizzate, col massiccio appoggio finanziario delle multinazionali e l’avallo politico delle potenze occidentali (in testa gli Stati Uniti), mirano “frantumare” il Congo, favorendo o l’annessione di questo vasto territorio al Rwanda ritenuto un partner economico più affidabile, o la creazione di un nuovo stato indipendente vassallo del Rwanda.
Di fronte a questi enormi interessi economici e a questi obiettivi geo-politici i valori tanto conclamati della democrazia, della giustizia e dei diritti umani risultano miseramente avviliti e ridotti a puri “slogan” proclamati con spudorata ipocrisia. I conflitti armati che continuano a devastare il Congo provocando milioni di morti e un numero incalcolabile di crimini perpetrati impunemente su queste popolazioni inermi, avvengono con la complicità di coloro che dovrebbero assicurare al mondo la pace, la stabilità e il benessere di tutti.
E questa è una ignobile sconfitta della Politica (con la P maiuscola) e della coscienza umana, sacrificate sull’altare del capitalismo selvaggio e predatore che oggi impera nel mondo.
p. Giovanni Querzani
Missionario Saveriano
A Bukavu, capoluogo della Provincia del Sud Kivu (R.D. del Congo)