Dilaniando il ventre del Congo

Da United Press International

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WASHINGTON — Fare da interprete in un altro linguaggio ti prosciuga emotivamente. Come interprete temo di perdere le sfumature, distorcere il messaggio e tradire sia l’oratore che il pubblico. Negli anni ho sentito le mie sessioni di interpretariato come esperienze extracorporee, che richiedono tutte le mie facoltà. Spesso ricordo poco degli scambi, come se non avessi partecipato.

Tuttavia mai prima d’ora ero stato eviscerato come quando ho accompagnato Mathilde Muhindo Mwamini a Washington D.C. nel suo viaggio di sensibilizzazione a favore delle sopravvissute agli stupri di massa del Congo. Continua a leggere

La madre dei duellanti

Da Repubblica

Gli intellettuali e la guerra: Moravia aveva ragione

Alberto MoraviaNon so più quanti articoli, saggi, interventi ho letto; tutti orientati nella stessa direzione: com’è che gli intellettuali non parlano? Com’è che hanno da dire così poco nei confronti della guerra?
E certo, se dimentichiamo così facilmente le cose che «gli intellettuali» hanno detto, parlando esplicitamente, fino a ieri, facciamo presto a dire oggi: gli intellettuali non parlano. In realtà hanno già parlato. Non su problemi di scelte pratiche: che fare, adesso, contro Saddam Hussein?
Di fronte a scelte di natura pratica, l’intellettuale ne sa esattamente quanto gli altri. Posto di fronte al problema se prendere il tram o se cercare un taxi, visto che sta piovendo, reagisce esattamente come tutti. Sa dire invece qualcosa in termini più generali o — almeno in apparenza — astratti.
Prendiamo il caso di Alberto Moravia. È morto poche settimane fa. Nei suoi ultimi anni ha ripetutamente detto e scritto che a questo punto della sua evoluzione tecnologica, l’umanità ha un solo problema: fare della guerra un tabù. Una cosa assolutamente proibita. Come già fece, a suo tempo (un tempo incommensurabilmente lontano) per l’incesto. Continua a leggere