WASHINGTON — Fare da interprete in un altro linguaggio ti prosciuga emotivamente. Come interprete temo di perdere le sfumature, distorcere il messaggio e tradire sia l’oratore che il pubblico. Negli anni ho sentito le mie sessioni di interpretariato come esperienze extracorporee, che richiedono tutte le mie facoltà. Spesso ricordo poco degli scambi, come se non avessi partecipato.
Tuttavia mai prima d’ora ero stato eviscerato come quando ho accompagnato Mathilde Muhindo Mwamini a Washington D.C. nel suo viaggio di sensibilizzazione a favore delle sopravvissute agli stupri di massa del Congo. Continua a leggere