Ho partecipato in prima persona a diverse veglie, marce ed altre iniziative a favore della pace, ed in ogni occasione ho sempre ricevuto una forte carica e provato una grande speranza nel vedere tante persone che condividono l’interesse e l’impegno per questa causa, anche qui stasera.
Qualcosa è sicuramente cambiato però dopo aver conosciuto la realtà della Repubblica Democratica del Congo ed aver approfondito la storia e le cause che hanno condotto a questa realtà.
Se prima “pace” era per me una parola, un concetto, un ideale, per quanto sentito ed importante, ora posso testimoniare che la stessa parola per il popolo congolese rappresenta qualcosa di reale, una necessità primaria, quasi tangibile, come l’acqua o il cibo, la cui mancanza influenza profondamente la vita di ogni giorno.
Dopo quasi vent’anni di guerre subite e crimini contro l’umanità, che hanno comportato, e continuano tuttora a comportare, milioni di morti, centinaia di migliaia di donne vittime di violenza, milioni di rifugiati interni, la prima richiesta di ogni congolese è quella della pace. Pace che significa normalità, la possibilità di riprendere le normali attività quotidiane interrotte o complicate dalla mancanza di sicurezza: per bimbi e ragazzi tornare a frequentare la scuola, per gli adulti poter coltivare il campo senza paura di essere attaccati e saccheggiati da qualche gruppo armato oppure, ancora più banalmente, poter fare una semplice passeggiata la sera.
Non c’è pace senza giustizia
Un’altra frase che conoscevo bene, ma che in Congo mi si è manifestata in tutta la sua realtà e concretezza è: “Non c’è pace senza giustizia”.
Visitando il paese si rimane profondamente colpiti da una ingiustizia palese, manifesta, talmente evidente ed eclatante che scuote e disturba.
Ingiustizia a livello politico ed internazionale, perché uno dei paesi più ricchi di risorse naturali, se non il più ricco, è all’ultimo posto di ogni classifica economica e di sviluppo.
Ingiustizia a livello sociale, perché corruzione ed impunità fanno sì che i diritti dei più deboli siano calpestati e che i colpevoli, dai crimini di guerra fino a quelli più piccoli, non siano adeguatamente perseguiti.
Ingiustizia perché nella corsa per accaparrarsi ad ogni costo le tante ricchezze naturali, infrangendo diritto internazionale e diritti umani, si distrugge la vera e più importante ricchezza del Congo: un patrimonio di umanità, relazioni, cultura e saggezza.
Non c’è giustizia senza verità
Infine credo che la storia, passata e recente, della Repubblica Democratica del Congo ci dica che non c’è giustizia senza verità.
Per questo vorrei concludere con le parole profetiche di due grandi testimoni, capaci di essere fedeli alla verità fino alle più estreme conseguenze. Espressione di un popolo, quello congolese, profondamente pacifico e solidale, sono stati entrambi, in periodi successivi, arcivescovo di Bukavu, in Sud Kivu.
Mons. Christophe Munzihirwa, morto martire nel 1996, scriveva:
“I discepoli di Cristo non possono dire di essere di Cristo se non hanno il coraggio di essere servitori di tutti e sentirsi solidali con tutti i poveri. Se vi sono dei rifugiati alla nostra porta, dobbiamo saper creare un clima di compassione dove sboccia l’aiuto reciproco perseverante: dobbiamo saper accogliere a casa nostra dei fratelli e delle sorelle, senza distinzione di razza o di classe sociale.”
Mons. Emmanuel Kataliko, costretto ad un lungo esilio nel 2001, scriveva:
“Noi ci impegniamo con coraggio, con spirito fermo, fede salda, a essere vicini a tutti gli oppressi, e se sarà necessario, fino al sangue. Il Vangelo ci porti a rifiutare la via delle armi e della violenza per uscire dai conflitti. È a prezzo delle nostre sofferenze e delle nostre preghiere che noi condurremo la battaglia della libertà e porteremo anche i nostri oppressori alla ragione e alla libertà interiore.”