Con Mathilde ed Yves abbiamo fatto visita a padre Franco a Panzi; avevamo cercato già altre volte di incontrarci ma lo stato pietoso della strada aveva impedito a padre Franco di raggiungere la città. Mathilde ha così proposto di recarci noi da lui e padre Franco ha convenuto che la domenica è il giorno migliore perché ci sono meno camion in circolazione.
La strada per Panzi è una delle più trafficate e più brutte della regione, nonostante si parli di una cittadina del circondario di Bukavu (tra l’altro sede dell’ospedale di riferimento per la cura delle donne vittime di violenza, ma questa è un’altra storia), non di un villaggio sperduto nella foresta. La strada è molto pendente, non asfaltata e terribilmente stretta (a malapena passano due auto affiancate), e quando piove si trasforma in un fiume di fango: basta che un veicolo scivoli o abbia delle difficoltà e si formano degli ingorghi spaventosi, lunghi parecchi chilometri e che durano per ore. Durante la campagna elettorale in vista delle presidenziali sono state fatte grandi promesse e sono persino iniziati i lavori di ampliamento: erano arrivate le enormi macchine per l’asfaltatura ed era iniziata la demolizione delle abitazioni adiacenti per allargare la carreggiata. Passate le elezioni sono rimaste solo le case tagliate in due, tanto che oggi percorrendo il primo tratto di strada che esce da Bukavu si possono tranquillamente vedere gli occupanti impegnati nelle loro attività quotidiane all’interno della metà che è rimasta in piedi, e già si comincia a ricostruire come se nulla fosse successo.
Alle 16 ci siamo così avviati verso Panzi sotto una pioggia battente. Il viaggio di andata si è svolto senza incidenti a parte un paio di guadi difficoltosi e qualche sbandata pericolosa. Alle 18 siamo partiti per rientrare, e subito sono cominciati i problemi. Mathilde faceva fatica a tenere l’auto in strada, nonostante il Land Cruiser e le quattro ruote motrici, e più di una volta ho temuto seriamente (per dirla tutta, in una occasione saremmo finiti nel fosso se non fosse per un paio di alberi provvidenziali). Tutto ciò non è durato tanto però, perché dopo appena 5 minuti ci siamo ritrovati bloccati in uno dei proverbiali imbottigliamenti di Panzi: per 4 ore non ci siamo spostati di un metro. Oltre che un esercizio di pazienza (a riguardo della quale ho molto da imparare dai congolesi), è stata un’occasione per assistere da un osservatorio privilegiato (quello del fuoristrada) ad uno scorcio di vita quotidiana.
Per la prima volta ho visto in serie difficoltà anche gli stessi congolesi, che per il resto sono abituati a convivere con il fango per 9 mesi all’anno. Tutti facevano fatica a mantenere l’equilibrio, molti cadevano riempiendosi di melma: tra gli altri, sotto i miei occhi sono cascate una donna incinta, una mamma col bimbo legato sulla schiena, un mototaxi seguito da vicino da un minibus, che è riuscito miracolosamente a fermarsi a 30 centimetri dal povero motociclista.
Evidentemente quello di un bianco intrappolato nell’ingorgo non dev’essere uno spettacolo usuale, perché tutti i passanti erano stupiti di vedermi, parecchi mi salutavano o mi sorridevano e qualcuno commentava ad alta voce. Mathilde ha così trovato il modo di improvvisare una lezione di swahili: prima mi ripeteva lentamente l’osservazione udita in strada e poi me la traduceva e spiegava. Di tutti i commenti ne ricordo due in particolare: “Mzungu, guarda le strade congolesi!” (nel senso di “così provi anche tu quello che ci tocca tutti i giorni”) e “Mi pento di aver votato per il tal candidato. Andate a vedere da Kagame: lui è cattivo ma almeno le strade sono buone”.
Dopo 3 ore e mezzo di attesa, quando ancora non si vedeva nessun progresso all’orizzonte, Mathilde ha pensato di prendere il cellulare e fare una telefonata: “Buonasera signor sindaco, sono Mathilde Muhindo del Centro Olame. Volevo solo segnalarle che da tre ore e mezzo siamo bloccati a Cahi nell’embouteillage…”. Non siamo riusciti a capire se il sindaco sia effettivamente intervenuto, ma sta di fatto che dopo mezz’ora abbiamo visto arrivare a passo d’uomo dalla direzione opposta un camion enorme, probabile causa del blocco, e la circolazione è ripresa. Ultimo brivido della serata, in prossimità di Bukavu giusto davanti a noi un Land Cruiser come il nostro ha perso aderenza e si è ritrovato perpendicolare alla direzione di marcia; quando già l’avevo visto ribaltato è riuscito in extremis a rimettersi in carreggiata.
Alle 22:30 siamo finalmente arrivati a casa.
This almost sounds like a horror story!
Did u ever get to visit the Panzi Hospital? Sounds like a very intriguing project!
No, I didn’t visit the hospital. Just last Friday I met dr. Mukwege at a meeting, though.