Congo, una guerra è per sempre
Le ragioni di una crisi senza fine

Da Repubblica.it

All’est del grande paese centrafricano la guerra non è mai finita. Da quasi vent’anni. Cambiano i nomi dei gruppi ribelli e i loro capi ma i motivi del conflitto sembrano chiari: interessi per diamanti e minerali, tensioni etniche e la responsabilità ruandese.

GOMA – Sono stanchi gli abitanti dei due Kivu, all’est della Repubblica Democratica del Congo. Stanchi ed esausti di una crisi umanitaria senza fine, di vivere da eterni profughi a causa delle incursioni devastanti di gruppi ribelli armati, dell’assenza dello Stato. Stanchi dei grandi interessi attorno ai diamanti e alle risorse minerarie di cui è ricca la regione, del ruolo chiave del vicino Ruanda accusato di fomentare i disordini. Stanchi, infine, dell’immobilità della comunità internazionale davanti alla responsabilità di mettere fine una volta per tutte a questo disastro dell’umanità che, dal 1995, ha causato la morte di oltre 5 milioni di persone, senza fare scalpore tra i titoli di giornale.

L’emergenza profughi. Negli ultimi mesi, in Nord e Sud Kivu, oltre 220 mila persone sono state registrate come nuovi sfollati interni. Costrette a fuggire dai propri villaggi, si ritrovano a vivere in campi profughi, molti dei quali spontanei, e devono far fronte a bisogni umanitari ingenti, dalla mancanza di cibo alle precarie condizioni igienico-sanitarie. Per la prima volta dal 2009, il numero totale dei profughi in Congo ha superato la soglia dei due milioni.

Il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati (JRS). “Per questa gente non esiste pace. Non soltanto, nella loro vita, sono stati costretti a fuggire dal proprio villaggio più di una volta. Ma ora, per via delle violenze incessanti, si ritrovano a fuggire anche dai campi profughi in cui avevano trovato rifugio – racconta da Masisi, in Nord Kivu, Ernesto Lorda del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati (JRS) – Lavorando ogni giorno nei campi profughi, ci rendiamo conto che il rischio più grande per queste persone è che in loro prevalgano rassegnazione e disperazione. La nostra missione è di essere al loro fianco perché la speranza nel futuro e l’amore per la vita non li abbandonino mai”.

Agli ordini di Terminator. Alla base degli ultimi movimenti forzati di popolazione, la defezione di alcune centinaia di soldati dall’esercito congolese fedeli al generale Bosco Ntaganda, meglio noto come Terminator e ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità. Ntaganda, un tutsi ruandofono con forti legami con Kigali, fino a poche decine di giorni fa vestiva i gradi dell’alto ufficiale nell’esercito di Kinshasa. Ora, invece, sta seminando il panico nel territorio di Ruthsuru, al confine con Uganda e Ruanda, mettendo a dura prova le forze armate congolesi nonché le truppe della missione di stabilizzazione delle Nazioni Unite, la MONUSCO. Persino i gorilla di montagna che vivono nei boschi del parco Virunga, una delle maggiori bellezze naturali d’Africa, si vedono costretti alla fuga. Come uomini, donne e bambini.

Sigle diverse, stesse violenze. La storia, in Congo, sembra ripetersi irrimediabilmente, senza che da essa si apprendano lezioni positive. Quello che sta accadendo in questi ultimi mesi, infatti, non è nient’altro che la riproposizione di quanto accaduto nel 2008. Cambiano le sigle e i personaggi, ma la sostanza resta la stessa. L’attuale movimento ribelle di Ntaganda si chiama M23. La sigla fa riferimento alla data del 23 marzo 2009, quando l’allora gruppo ribelle CNDP (Congresso nazionale per la difesa del popolo) siglò un accordo con Kinshasa, sotto la supervisione del Ruanda,  per l’integrazione dei ribelli nell’esercito congolese in cambio della fine delle ostilità all’est del paese.

Kinshasa sotto scacco. I ribelli integrati, tuttavia, imposero a Kinshasa la propria decisione di operare nei due Kivu. In questo modo hanno di fatto creato una catena di comando parallela all’interno dell’esercito, continuando a sfruttare illegalmente le riserve di diamanti, oro e coltan. A capo del CNDP vi era Laurent Nkunda, anch’egli un Tutsi ruandofono, che in base a quell’accordo fu arrestato ma che, secondo quanto tutti dicono da queste parti, vivrebbe in una residenza lussuosa in quel di Kigali.

Il ruolo del Ruanda. Nel corso dell’attuale ribellione, tuttavia, una grande e sostanziale novità ha fatto irruzione sulla scena. Sebbene esperti del settore così come la povera e martoriata popolazione dei Kivu da sempre siano convinti dell’implicazione del Ruanda nei disordini in RDC, ora, per la prima volta, il governo di Kagame è stato pubblicamente messo sotto accusa da un documento annesso a un rapporto pubblicato dal Gruppo di esperti delle Nazioni Unite sulla RDC. I ruandesi, secondo il documento, starebbero supportando Ntaganda e i ribelli dell’M23, reclutando, armando e formando nuovi ribelli, tra cui, come denunciato dall’ONG Human Rights Watch, anche minori.

La pazienza della società civile è al limite. “Siamo contenti che finalmente l’ONU abbia avuto il coraggio di denunciare ufficialmente il ruolo del Ruanda in questa guerra – hanno scritto i rappresentanti della società civile del Nord Kivu in una lettera indirizzata al rappresentante speciale in RDC del Segretario delle Nazioni Unite – Da più di 14 anni, c’è una sproporzione inaccettabile tra il numero delle truppe dell’ONU e la sua incapacità di proteggere la popolazione civile. Adesso, è arrivato il momento di infliggere al Ruanda le sanzioni che merita e di esigere il ritiro incondizionato delle sue truppe”.

La replica ruandese. Kigali, come era lecito aspettarsi, ha smentito con veemenza tali accuse puntando a sua volta il dito contro il governo di Kinshasa e i soldati dell’ONU incapaci di annientare i vari gruppi armati presenti nei Kivu. Tra questi, in particolare, figurano le Forze democratiche per la liberazione del Ruanda (FDLR), ovvero gli hutu ruandesi autori del genocidio del 1994 in Ruanda che continuano a seminare violenza e distruzione all’interno della regione, approfittando anche dell’assenza dell’esercito congolese impegnato negli ultimi mesi a dar la caccia a Ntaganda e all’M23.

Guardare al passato per capire il presente. La presenza delle FDLR in Congo rappresenta una chiave importante per comprendere il ruolo di Kigali nei Kivu. In seguito al genocidio ruandese nel 1994, infatti, gli uomini dell’attuale presidente al potere a Kigali fecero irruzione oltre confine per azzerare le forze dei genocidari hutu in fuga. Ne seguirono le due guerre del Congo, la prima delle quali portò alla caduta del dittatore congolese Mobutu Sese Seko. Il Ruanda, in entrambi i conflitti, fu coinvolto in prima persona. Poi le armi tacquero ufficialmente nel 2003. Tranne che nei due Kivu, dove violenze, massacri, stupri di massa e movimenti forzati di popolazione continuano senza soluzione di continuità. Anche se cambiano le sigle dei movimenti ribelli e i nomi dei loro capi.

Danilo Giannese

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