Tra paradiso e inferno

Uno dei tanti paradossi del Congo: pochi giorni fa scrivevo di paradiso, oggi L’Espresso pubblica questo. La verità si trova da qualche parte tra questi due estremi, ma io non saprei dire dove. O meglio, forse, il Congo è tutto questo insieme e tanto altro ancora.

Mi sono tornate in mente anche la domanda di mio nipote, che a scuola stava studiando il rapporto sullo sviluppo umano 2011 dell’UNDP: “Mamma, perché il tato vuole andare in Congo, se è il posto dove si sta peggio al mondo?”, e la risposta di mia sorella: “Proprio perché è il posto dove si sta peggio al mondo.”


Da L’Espresso

È il Congo: ultimo nella classifica ONU sullo sviluppo umano. Perché non c’è acqua, non c’è elettricità, non ci sono ospedali, non ci sono scuole. E si sta diffondendo il colera

«Ci proviamo, ma che possiamo fare? Manca l’acqua corrente, l’elettricità ce la fornisce un gruppo elettrogeno che funziona solo tre ore al giorno perché non abbiamo soldi per il carburante e senz’acqua corrente ed elettricità già non si parte bene contro il colera. O contro qualsiasi altra epidemia o malattia». Hervé Bavi è un congolese atletico e deciso, quando parla allarga ma non abbassa le braccia, non si dà per vinto anche se giorno dopo giorno combatte una battaglia quasi impossibile: fare il medico a Tchomia, villaggio affacciato sul bordo congolese del lago Alberto. Di fronte l’Uganda, che sembra la Svizzera. Bavi, 33 anni e una laurea in medicina in tasca, dal 2010 dirige l’ospedale del villaggio, l’unico per le 100 mila persone sparse in questo lembo nord-orientale dell’immensa Repubblica Democratica del Congo. Il Congo RDC è l’ultimo paese nella classifica ONU sullo sviluppo umano, 187esimo su 187. Mancano ospedali, scuole, strade, reti elettriche ed idriche. Manca tutto.

Da gennaio Tchomia, nella provincia dell’Ituri, è al centro di un’epidemia di colera: oltre 19 mila casi riconosciuti e circa 400 decessi in tutto il paese. «Il colera si combatte con l’igiene, acqua potabile e strutture sanitarie efficienti, da noi manca praticamente tutto», riassume Bavi. L’acqua va presa in un pozzo che serve tutto il villaggio, 10 mila persone. Per le pulizie dei reparti e della sala operatoria si usa quella del lago Alberto, un lago pescosissimo e, si è scoperto recentemente, anche assai ricco di petrolio. «Per il 2015», spiega Bavi, «è previsto l’inizio dello sfruttamento dei giacimenti, la comunità chiede che parte dei profitti vengano investiti in zona, in infrastrutture sanitarie e scolastiche, strade, rete idrica ed elettrica, fabbriche per la pesca industriale, ma il governo dice che i soldi devono andare prima a Kinshasa».

Tchomia è lo specchio fedele del paese: diamanti, oro, coltan e ora anche petrolio non portano nulla alla popolazione, se non guerra e tensioni. Bavi e gli altri due medici e 22 infermieri di Tchomia combattono disarmati contro il colera, e contro malaria, tubercolosi, gastroenteriti, Aids, malnutrizione, sofferenze fetali, violenze… Non ci sono medicine, non c’è il reparto rianimazione, manca un aspiratore per il sangue. «Da un anno e mezzo le ONG non hanno più inviato i fondi per i medicinali e da un anno non ci sono i soldi per gli stipendi, che dovrebbe pagare il governo». Débrouillez-vous, arrangiatevi, è il 15esimo articolo della Costituzione congolese, l’unico non scritto e l’unico che tutti conoscono. Bavi, come il manipolo di medici che lavora a Bunia, Lita, Drodro, Mongbwalu, nelle città e nei villaggi dell’Ituri, deve arrangiarsi. Le prime vittime: donne e bambini. Qui la mortalità infantile è un dato crudo: 408 bambini su mille muoiono nei primi mesi di vita. Arrangiatevi.

Alberto D’Argenzio

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